“Le nuove digital libraries siano imperfette ma stimolanti e coerenti”

I direttori Moro, Buttò, Birrozzi e Reale a confronto nel web talk di SOS Archivi

17 Dicembre 2021

“La concezione di patrimonio culturale sta cambiando sotto i nostri occhi, grazie soprattutto a spinte esogene e non per semplice travaso di discipline o ibridazione delle stesse”. Questa la premessa del direttore della Digital Library del MiC, Laura Moro, intervenuta al digital talk organizzato da SOS Archivi, nell’ambito di ICA Roma 2022, dal titolo “Digital Libraries: una palestra per l’ibridazione di discipline e contenuti” insieme a Carlo Birrozzi (Direttore dell’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione), Elisabetta Reale (Direttore dell’Istituto centrale per gli archivi), Simonetta Buttò (Direttore dell’Istituto centrale per il catalogo unico). Il tutto moderato da Giovanni Michetti.
“Da una parte -ha spiegato la Moro– esiste il patrimonio degli oggetti fisici come lo conosciamo da sempre: quindi interpretato e selezionato dalle istituzioni normalmente preposte a questo, poi trasmesso alle generazioni future attraverso scaffali gerarchici, reali o virtuali che siano, sottoposto a letture asincrone e in grado di attrarre a sé gli utenti”.
“Ma un’altra visione di patrimonio -ha aggiunto- si sta sempre più affermando: è quella degli oggetti digitali e riguarda pratiche sociali e relazioni immateriali. Si tratta di un patrimonio creato senza intermediazioni istituzionali, che viene scambiato attraverso esperienze e condivisioni ed è sottoposto a letture plurime, sincrone e contemporanee. Gli oggetti digitali quindi restano collegati a quelli fisici, ma hanno una propria vita, si correlano tra loro senza rivalità e hanno la capacità di integrare strati di senso, veri e propri scambiatori semantici. Queste due concezioni di patrimonio sono allo stesso tempo parallele ma in grado di mischiarsi dando vita a nuove discipline”.
Se, come ha evidenziato Carlo Birrozzi, “La visione disciplinare, che da sempre caratterizza il sistema patrimonio, rappresenta uno degli ostacoli alla realizzazione dell’ecosistema dei beni culturali”, allora per il moderatore Michetti: “Occorrono una sintassi e semantiche nuove, perché quello che ci interessa costruire non è dato dalla sommatoria delle singole discipline ma da una naturale interdisciplinarietà tra queste stesse”. “Ma è possibile mettere insieme idee del mondo così diverse? E a quale condizione?” è la domanda di una utente collegata on line. Prova a rispondere Elisabetta Reale, riferendosi al suo comparto di riferimento: “L’archivio è un bene culturale, una testimonianza, una fonte storica, ma è anche una caratteristica amministrativa. È un mondo complesso di oggetti, relazionati tra di loro con un appeal diverso dagli altri beni culturali”. In tal senso cita una best practice: l’Archivio Rame Fo è un esempio di patrimonio integrato di arte e spettacolo, in cui le sezioni archivistica, storico artistica e bibliotecaria/audiovideo si completano attraverso legami che sono espressione diretta dei loro produttori. 
Conoscenza, ricerca e fruizione pubblica delle risorse digitali è ciò che, invece, caratterizza il dispositivo (foucaultianamente inteso come insieme di senso, strutture fisiche, logiche, normative, ideologiche) delle biblioteche. “Un passo avanti verso l’integrazione di questo sistema -ha affermato Simonetta Buttò– potrebbe essere la costruzione di modelli concettuali indirizzati alle entità che possono dare vita ad ontologie formali, sia come mezzo di descrizione della complessità di un dominio di conoscenza sia come standard per l’interoperabilità semantica”.
“Cosa va chiesto, dunque alle istituzioni?” ha chiesto infine Michetti: “Le istituzioni, senza interrompere il loro tradizionale lavoro -ha risposto la Moro– devono sviluppare la consapevolezza di non avere più il monopolio delle costruzioni semantiche sul patrimonio culturale. Di conseguenza le nuove digital libraries per essere più stimolanti dovranno saper cambiare e scambiare, se è il caso, consueti paradigmi concettuali alla base delle varie discipline. Gli utenti, in questo nuovo scenario, non saranno solo attratti ma anche attivati. E’ preferibile infatti -ha concluso- avere un modello ed una visione non completa magari, ma sfaccettata, trasparente e imperfetta. Con una coerenza interna, certo, ma con dei “vuoti” in grado di attivare l’interesse e la partecipazione degli utenti”.

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