Normalmente, si fa risalire l’origine dell’intera filosofia occidentale al pensiero greco arcaico, e in particolare a una serie di modificazioni di tipo storico, economico politico e sociale, che, come ha illustrato Jean-Pierre Vernant nella sua interpretazione delle origini del pensiero greco,[4] portarono intorno al VII secolo ad una progressiva desacralizzazione dell’antica cosmogonia e teogonia di Omero ed Esiodo. Al contempo però rimane difficile disgiungere il nuovo pensiero sapienziale da un tipo di religiosità esoterica più sotterranea che si esprime nelle forme dei misteri, soprattutto orfici ed eleusini.[5]
Da una parte, perciò, si pone l’esigenza di una riflessione più autonoma, per certi versi scientifica, sui principi che sottostanno ai fenomeni naturali. Quest’esigenza spinge i primi pensatori,[6] in particolare quelli della cosiddetta Scuola di Mileto, a partire da Talete, a porre la centralità della questione dell’archè: qual è l’elemento primordiale da cui ogni altro discende? E quali sono le leggi che regolano i rapporti fra gli elementi primordiali? Talete identificherà tale principio primo nell’acqua, Anassimandro nell’illimitato Ápeiron,[7] Anassimene nell’aria, e altri pensatori, in seguito, proporranno ulteriori ipotesi in tal senso. Ciò che va sottolineato, in questi primi filosofi, non sono tanto le conclusioni a cui giunsero, ma lo sforzo di affrontare le questioni sull’origine e sul senso della realtà senza ricorrere a spiegazioni basate sul mito o sulla tradizione; per la prima volta l’osservazione diretta della natura e la capacità razionale dell’uomo sono considerate nella loro autonomia e superiorità.
Pitagora
D’altro canto, nel pensiero greco arcaico, contemporaneamente alla meditazione sulla natura operata dai primi pensatori, si pone l’esigenza di ripensare il rapporto col divino e di affrontare le questioni proprie dell’etica, riguardanti il modo in cui l’uomo conduce la sua esistenza e le relazioni con la polis, la città-stato dove alla monarchia si è andato sostituendo un regime ugualitario di leggi concepito come un riflesso dell’ordine naturale dell’universo.[8] Quest’esigenza, che trova una prima risposta nelle massime dei cosiddetti Sette Savi (in realtà una ventina di personaggi che solo occasionalmente ebbero relazioni fra di loro, e che lasciarono una serie di detti lapidari a tema specificamente etico), sfocerà più tardi nelle riflessioni della sofistica e della filosofia socratica e post-socratica, divenendo uno dei filoni principali della filosofia greca.
Nella prima fase l’aspetto ontologico e cosmologico è quello privilegiato; la riflessione di Pitagora, in questo senso, rappresenta un’importante evoluzione, in quanto primo tentativo di descrivere il reale secondo il criterio della Necessità, ovvero mediante leggi matematiche. Si tratta di un approccio mentale che si propone di indagare i nessi dell’invisibile armonia ritenuta a fondamento dell’universo; un approccio riservato a pochi iniziati per il carattere sacro attribuito alla dottrina.[9] Il Numero è infatti per Pitagora l’origine della sapienza, e l’Unità alla quale egli allude non è semplicemente una cifra come tante altre, ma un’entità simbolica e suprema, l’elemento primordiale da cui ogni altra realtà discende e può essere dedotta, secondo una rigida concatenazione matematico-geometrica, dove però l’elemento qualitativo e contemplativo prevale su quello quantitativo.[10] Alcuni aspetti della filosofia di Pitagora, in particolare l’impianto cosmologico misticheggiante, troveranno poi successivi sviluppi nel pensiero di Platone.