Come cambia la gestione dell’istituzione culturale nell’ambiente digitale?

Spunti e riflessioni dal 2° webinar delle "Relazioni Digitali"

17 Novembre 2021

Le relazioni, quali esse siano, portano, inevitabilmente, a dei mutamenti: nei soggetti che le intrecciano e di conseguenza anche nell’ambiente che gli sta intorno.
Non fanno eccezione quelle che avvengono in ambito digitale. Nel secondo appuntamento del nostro webinar in collaborazione con la Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali, Luca Dal Pozzolo co-fondatore di Fondazione Fitzcarraldo e Silvano Tagliagambe professore emerito di Filosofia della Scienza all’Università di Cagliari si sono confrontati, per l’appunto, sui cambiamenti nella gestione e nel management delle organizzazioni culturali che il processo di digitalizzazione sta portando.
A moderare l’incontro, il Direttore della Scuola per il governo del territorio e del paesaggio, Gianluca Cepollaro che ha premesso tre punti guida:
– L’ampliamento del campo delle informazioni nell’ambiente digitale
– I fenomeni di convergenza che il digitale permette
– La rete come principio guida delle organizzazioni e delle istituzioni
La metafora usata da Cepollaro per aprire il dibattito è stata quella della organizzazione/istituzione come contenitore, le cui pareti, grazie al digitale, si fanno sempre più sfumate e indefinite. Un concetto che Tagliagambe ha voluto amplificare, spiegando come l’informazione rappresenti una struttura immateriale che fa però riferimento a un supporto materiale. Un po’ come la Macchina di Turing in cui un modello astratto, o immateriale che dir si voglia, funziona però attraverso un oggetto fisico, la testina, per imprimere dati su un nastro potenzialmente infinito. Un confronto tra materiale e immateriale alla base anche dell’idea sviluppata da Bezos con Amazon, in cui lo scaffale rigido e limitato della libreria (metafora delle strutture informative tradizionali) è stato sostituito da uno spazio cloud potenzialmente senza confini.
Attenzione ai rischi di questo processo ha però ammonito Dal Pozzolo, che, se non gestito a dovere, rischia di non creare significato a questo nuovo sistema di comunicazione: sarebbe come se i “suoni” emessi dal mittente non venissero compresi dal ricevente. Trasferito nell’attualità, è quanto accaduto durante il lockdown, quando alcune istituzioni culturali, senza averne le competenze, hanno provato a bypassare la chiusura fisica con attività virtuali che non hanno però minimamente intercettato il pubblico per cui erano state pensate, i giovani in particolar modo. Un esempio, quindi, di scollamento tra mondo digitale e realtà fisica. Per Dal Pozzolo se non esiste convergenza tra questi due universi non possiamo neanche avvicinarsi a quel modello di democrazia culturale partecipativa, stella polare di tutte le politiche di digitalizzazione.
Passando a riflettere sulle “saldature” che il digitale permette rispetto a processi fino ad ora separati. Tagliagambe ha ricordato come siamo di fronte ad una trasformazione molto profonda: da sistemi che fondano la loro essenza sulle proprietà (definibili quindi a partire dall’enumerazione dei loro attributi) a sistemi basati sulle relazioni (che si definiscono quindi nell’interazione con altri sistemi e che per questo si proiettano verso l’esterno). Questa visione consente  una saldatura tra reale e virtuale, come accade, ad esempio, con una foto digitale, che non rappresenta la realtà ma la “costituisce” al termine di un processo che in parte è materiale, in parte immateriale: allo stesso modo il digitale salda pensiero critico e capacità operativa. Oppure come il territorio, bene materiale, che si trasforma in paesaggio quando si arricchisce di storie e relazioni immateriali. L’idea che il digitale cancelli i territori, i luoghi, le identità locali è una visione miope perché al contrario il digitale con la sua capacità di penetrazione oltre i confini fisici aumenta enormemente la possibilità di valorizzare i contesti locali.
Un’ibridazione che aumenta il valore delle cose, se è vero, come scrisse Wittgestein, che la forza di una corda non è data dal fatto che una fibra corre per tutta la sua lunghezza, ma dal sovrapporsi di molte fibre l’una all’altra. E nessun timore che l’intelligenza artificiale possa mai sostituirci totalmente. Le è mancata, almeno fino ad oggi, la capacità di strutturare il tempo e la memoria. Il che rende l’Uomo unico nel saper pensare e realizzare un prodotto culturale che non solo viva nel tempo ma che con il passare di esso acquisisca valore.
Quando però l’opera d’arte è creata, il digitale può e deve intervenire, ha replicato Dal Pozzolo, con la sua capacità di simulare, di creare una narrativa coinvolgente, di cambiarne la modalità di fruizione attraverso una visuale insolita per l’occhio umano.
In definitiva, ha chiosato Tagliagambe, se non vogliamo fare la fine dell’Averroè “borgesiano”, troppo intento a leggere i libri della sua biblioteca per accorgersi che bastava affacciarsi sulla strada per trovare nel gioco di due bambini la risposta ai suoi dubbi, lasciamoci definitivamente alle spalle la rigidità tassonomica ottocentesca nell’approccio al bene culturale.
Dal momento che un prodotto culturale autentico si valorizza nel tempo attraverso le interpretazioni che di esso vengono date, con la capacità del digitale di ampliare i pubblici, cresce anche il valore del bene culturale che si arricchisce di significati plurimi e differiti nel tempo.
Facciamo dunque in modo che in un’istituzione culturale curatori e storici dell’arte non lavorino in comparti stagni rispetto agli ingegneri informatici. Solo facendo comunicare questi due “vasi” potremo creare delle feconde “Relazioni Digitali”.
In allegato il programma dei prossimi appuntamenti.

 

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